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9 Marzo 1943

A quanto pare, il mese di Marzo del 1943, per quanto mese e anno di guerra, ebbe la particolarità di dare i natali ad alcuni talenti assoluti ne campo del’arte: i nostri Lucio Dalla e Lucio Battisti, e il più grande giocatore di Scacchi di tutti i tempi, tale Robert James Fischer, per tutti semplicemente “Bobby Fischer”. In questi giorni, tutti e tre avrebbero dunque compiuto 80 anni, laddove un destino cinico e baro ce li ha strappati troppo presto. Curiosamente, Fischer e Battisti condivisero la scelta di un “eremitismo” estremo, praticato proprio all’apice assoluto del successo, insieme alla maniacale e paranoide riservatezza sulla propria vita.

Poco ci importa, alla fine, chi fosse il vero padre biologico di Bobby, oppure se e quanto le sue estrose condizioni familiari abbiano rappresentato il motore (in senso psicologico) del suo assoluto genio scacchistico. Quello che dovrebbe importarci è il lascito di uno scacchista che osò ergersi da solo contro il sistema sovietico che aveva garantito all’URSS trent’anni di monopolio del titolo mondiale. Questo lascito consiste in centinaia di partite dove si trovano combinate le migliori doti di Capablanca e Alekhine; di Botvinnik e Keres; di Nimzowitsch e Tarrasch.

Non so dire, in tutta sincerità, dove sarebbe OGGI (scacchisticamente parlando) il Fischer del 1971. Penso infatti che una domanda così sia semplicemente mal posta. Piuttosto, mi chiederei dove sarebbe  NEL 1971 un Carlsen SENZA gli strumenti attuali. Ci avete mai pensato?

Buon compleanno al “Crazy Diamond” degli Scacchi. E ascoltiamolo ancora, nei suoi 80 anni, mentre commenta una partita che giocò quando di anni ne aveva 19. Varna, sponde del Mar Nero. Si giocano le Olimpiadi di Scacchi. Silenzio: parola al Genio.


Applauso.

 

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Inversione di rotta

(NOTE BASATE SU ANNOTAZIONI RACCOLTE IN INTERNET)
Con qualche giorno di ritardo, vi propongo, dopo 50 anni dallo svolgimento, la partita del “Match del secolo” che di fatto segnò lo spartiacque della sfida e l’anticipazione del cambio della guardia sul trono degli Scacchi. La sesta del match rappresentò il momento in cui l’ago della bilancia iniziò a pendere vistosamente verso lo sfidante americano, con il Campione sempre più in affanno e incapace di una reazione decisiva.
Dopo cinque partite il punteggio era clamorosamente pari (2½-2½), visto l’inopinato 2-0 iniziale legato anche al forfait dell’americano nella seconda partita. Ma fu Fischer a prendere l’iniziativa nella sesta partita, giocata il 23 luglio 1972, e a mantenere il vantaggio psicologico sulla scacchiera e fuori. Le sue incessanti richieste

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Che la rimonta abbia inizio!

Bobby Fischer è sempre stato noto per i comportamenti -ehm…- stravaganti. Ma nulla nel suo passato aveva preparato i fan per il circo che precedette la sfida del campionato del mondo del 1972. Sarebbe andato a Reykjavik o no? Si è davvero offerto di giocare la sfida senza alcun premio in denaro? E perché si è scusato con Spassky come chiedevano i Sovietici? Quando i giornalisti si interrogarono sul suo comportamento, Robert Byrne scrollò le spalle, dicendo: “Non mi preoccuperò finché non lo vedrò fare una mossa pazza sulla scacchiera. Allora saprò che l’abbiamo perso definitivamente”. Naturalmente, il tutto avvenne prima di 11… Ch5…

Questa fu la prima vittoria in assoluto di Bobby Fischer contro Spassky. Non fu l’ultima, e probabilmente segnò, precocemente, il destino del match.

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Tanto tempo fa, in un’isola lontana lontana…

L’11 luglio evoca parecchie suggestioni: il calcio, con il quarantennale (quest’anno) della storica vittoria dell’Italia ai Mondiali di Spagna e (l’anno scorso) agli Europei; e gli scacchi. Oggi ricorrono 50 anni esatti dall’inizio del “match del secolo” fra il detentore Boris Spasskij e lo sfidante statunitense Robert James Fischer. Più che un match, un simbolo per centinaia di migliaia di scacchisti. Lo “rileggiamo” nell’interpretazione di Sergio Sollima!

La storia degli scacchi annovera sfide mondiali di grande significato tecnico e umano, in cui si sono cimentati giocatori dagli stili e dai caratteri diversi. A partire dallo scontro fra P. Morphy e A. Anderssen, brillanti interpreti di un gioco spregiudicatamente tattico, intessuto di sacrifici e di combinazioni geniali. Ma con lo statunitense e il tedesco siamo ancora in una fase per così dire preistorica degli scontri al vertice. La vera storia dei campionati mondiali ha inizio con l’austriaco W. Steinitz, profeta di alcuni fondamentali strategie valorizzate nel gioco moderno, dominatore di scontri mondiali per quasi un trentennio. Fino a quando non dovette cedere il passo al tedesco E. Lasker, a sua volta incontrastato dominatore per circa un ventennio. Non ci saranno più supremazie così durature: dopo l’anno del cubano J.R. Capablanca, il grande sovietico A. Alechin risulterà vincitore per tre edizioni; perderà, poi, con l’olandese M. Euwe, ma ritornerà sulla breccia ancora nel 1937. Ecco poi l’irruzione sulla scena dell’altro sovietico M. Botvinnik, sconfitto, negli anni, dai connazionali V. Smyslov e dall’immenso M. Tal, a testimoniare la superiorità della scuola sovietica. M. Botvinnik dovrà cedere definitivamente le armi nel 1963 a Tigran Petrosjan, che sarà poi scalzato da B. Spasskij. Arriviamo, così, all’evento di cui si celebra il cinquantennio: la sfida mondiale, disputatasi a Reykjavík fra l’11 luglio e il 3 settembre del 1972, fra B. Spasskij e B. Fischer. Cosa differenzia questo incontro dagli altri scontri mondiali, sia quelli che lo hanno preceduto che quelli che lo seguiranno? Cosa gli dà un fascino particolare, che gli anni trascorsi non offuscano? Spasskij – Fischer non fu soltanto un incontro di scacchi fra i due più forti giocatori del momento, fu il confronto fra due mondi, due scuole, due visioni del gioco e, forse, della vita. Da un lato la celebrata équipe sovietica, all’interno della quale Spasskij aveva costruito le sue basi e perfezionato il suo talento; durante il match, che diventò il primo fenomeno mediatico di grande risonanza nel mondo degli scacchi, Spasskij poté avvalersi di una serie di validissimi collaboratori, sempre pronti a suggerirgli le varianti più insidiose per l’avversario. Dall’altra B. Fischer, il genio statunitense autodidatta, con il solo padre W. Lombardy – scacchista di talento ma di relativa statura internazionale – a fargli da secondo. L’incontro diventa – viene da parlarne al presente – un tassello significativo nel grande puzzle della guerra fredda, che ha come scenario le 64 caselle del nobile gioco. Il mondo intero, non solo gli appassionati del gioco, guarda con interesse e curiosità all’evento, i cui significati vanno oltre il mero confronto scacchistico fra due giocatori diversi: da una parte il sovietico, raffinato e insieme solido, dall’altro lo statunitense, giocatore universale, con una profonda visione strategica coniugata a un geniale senso tattico. Il match si conclude con la vittoria di Fischer: 7 vittorie, 13 patte, 3 sconfitte. Si trattò di un incontro epocale, ben presto investito da un alone quasi da leggenda, che trascese il significato agonistico, pur denso, a sua volta, di contenuti: fu una sorta di epico sigillo alla figura e alla carriera di B. Fischer. Fischer, poi, rimase prigioniero dei propri fantasmi, il campionato del mondo del 1972 fu l’ultima sua grande impresa: così lo statunitense è definitivamente consegnato al mondo del mito, in cui il tempo sembra cristallizzarsi e i bagliori delle grandi imprese non si spengono. Quel mito, oggi, celebriamo, con l’ammirazione di sempre.
(© Sergio Sollima 2022)

Eppure, le premesse erano tutte contro Bobby: il sistema scacchistico sovietico schierato in pompa magna, il fatto che non avesse mai vinto contro il Campione in carica… E, tanto per non farsi mancare nulla, la sconfitta clamorosa per una svista storica (che ben figurerebbe nell’articolo “Cappelle di livello“) nella prima partita del match. Che vi ripropongo qui, con i commenti del grande Botvinnik!

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Happy Birthday, GOAT!

Ultimamente, nonostante le batoste che ho subito in quel di Floresta (torneo, mio e del Principino, su cui tornerò successivamente, perché molto istruttivo), mi sono appassionato assai a un sistema di gioco che può essere sia anti-Siciliano che anti-Francese: il cosiddetto Attacco Indiano. Alcuni, troppo ottimisti!, lo definiscono “il repertorio di attacco definitivo”: sebbene secondo me molto utile e interessante, non è imputabile come causa “finale” degli Scacchi. Come si sa, quasi a ogni livello uno dei modi principali per vincere rapidamente negli scacchi è creare un attacco devastante sull’ala di Re. Ma molte aperture sono progettate per un gioco difensivo tranquillo. A parte l’Attacco Jugoslavo titpico della Variante del Dragone, c’è un’apertura che vale la pena di studiare, ed è l’Attacco Indiano. Questo sistema, noto anche come Sistema Barcza, è un repertorio molto flessibile piuttosto popolare negli scacchi di alto livello: apparentemente, il Bianco imposta una posizione solo difensiva che a prima vista sembra molto sottile, ma a un secondo sguardo, facile da maneggiare per il Nero. La posizione “base” spesso nasce dalle mosse del Bianco 1. Cf3, seguita da g3,  Ag2 e un rapido arrocco corto: una strategia apparentemente passiva, ma, come si suol dire, è sempre bene non giudicare una mossa dall’aspetto ma piuttosto dall’effetto. L’idea del Bianco è di giocare h2 -h4 e bloccare lentamente (quasi in un “restraint“) il Nero sul lato di Re portando i suoi pezzi nelle case ottimali da cui attaccare direttamente il Re nero. Esistono ovviamente altre sequenze di mosse con cui il Bianco può entrare esattamente nella stessa posizione: per esempio, 1. e4 seguita ancora da g3, Ag2 e arrocco.
La prossima mossa del bianco sarà d3, e il Bianco può conquistare, attaccare

Miniature fantastiche e dove trovarle – Niente gioie, siamo Londinesi

Nel mondo post-Covid19 assisteremo certamente a diverse rivoluzioni, e alcune le stiamo già vivendo. Gli Scacchi, per esempio, sono tornati prepotentemente alla ribalta (pure troppo, a dire il vero, vista la proliferazione di canali Iutiubbe dalla molto dubbia validità, e dal numero di neofiti che -anziché fare i neofiti- si atteggiano a profondi sproloquiatori discettanti di aperture, mediogioco, finale e cheating con una sicumera impressionante. Il tutto basato su profonde partite… 3+0, quando va bene…), in particolare nelle sue modalità più snelle (smart, dicono quelli fighi) e online. Va anche bene, per carità!, purché a questo fervore post-Covid, post-“Regina degli Scacchi”, post-moderno, post-gioco e post-un-sacco-di-roba possa seguire un’analoga diffusione della competizione sana su una bella scacchiera vera e in 3D. Ecco, questa la accetterei anche elettronica e DGT, come la mia 🙂

Non sfuggono al richiamo online e a quello del Rapid neanche i grandi campioni, ovviamente. Sotto questo profilo, non posso che esser loro grato, per due ordini di motivi. Il primo è di consolazione: si vedono, anche nelle 15+10, certe cappelle in stile Sistina che lèvati… Il secondo è che in questo modo questa rubrica informale si arricchisce sempre di più, per iul divertimento puro mio e -spero!- anche vostro.

Diamo un’occhiata a uno dei recenti tornei del Champions Chess Tour. Dal 24 aprile al 2 maggio hanno giocato al classico torneo del New In Chess (NIC) i soliti noti, affiancati da alcuni nuovi arrivati come i norvegesi Tari e Christiansen, il britannico Jones, gli indiani Vidit e Praggnanandhaa e il vietnamita Le Quang Liem. Questo torneo (un Rapid 15+10, per l’appunto) si è tenuto subito dopo che Ian Nepomniachtchi, vincendo il torneo dei Candidati, è diventato lo sfidante di Magnus Carlsen. E proprio insieme al Torneo dei Candidati, l’evento di NIC è ormai un’eccellente vetrina per gli scacchi e per i migliori giocatori.

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Miniature fantastiche e dove trovarle – Il ruggito del leone

Viktor Korchnoi (1931-2016) non ha certo bisogno di presentazioni: una vita intera “prestata” agli Scacchi, un successo straordinario mai coronato dalla meta più alta e più ambita del Campionato del Mondo, tutto sommato per mera fatalità. Mi sembra molto bella quella di chess24.com, che traduco senza ulteriori commenti, tanto è precisa e emozionante nei suoi passaggi.

Korchnoi è una delle vere leggende degli scacchi e secondo molti è il “giocatore più forte mai diventato campione del mondo”. Ha giocato tre match che avrebbero potuto dargli il titolo ed è stato ai vertici degli scacchi mondiali per 30 anni, vincendo partite contro tutti i campioni del mondo, da Botvinnik a Kasparov. I suoi quattro campionati dell’URSS e sei medaglie d’oro olimpiche per l’URSS sono tanto più notevoli dal momento che disertò in Occidente nel 1976, all’apice della sua forza. In termini di longevità scacchistica ha pochi rivali e la furiosa voglia di vincere che lo ha fatto soprannominare “Viktor il Terribile” lo ha aiutato a figurare nella Top 100 all’età di 75 anni e a battere la giovane stella Fabiano Caruana a 79.
Il talento di Korchnoi era già evidente quando vinse il Campionato Junior dell’URSS nel 1947, ma fu la sua capacità di duro lavoro e di miglioramento graduale ciò che lo distingueva. Il suo stile di contrattacco basato sul calcolo profondo piuttosto che sull’intuizione ha dato a Korchnoi risultati piuttosto irregolari negli anni ’50, ma riuscì a restare costantemente al top dopo i 30 anni, vincendo il campionato dell’URSS nel 1960, 1962, 1964 e 1970. Qualcuno ipotizza che abbia perso il match di semifinale dei candidati contro Tigran Petrosian nel 1971 a causa di un accordo sovietico interno, perché sembrava all’establishment che Petrosian avrebbe avuto migliori possibilità contro Bobby Fischer; quando Fischer abbandonò titolo mondiale e gioco, parve ai più che potesse finalmente essere il turno di Korchnoi di reclamare la corona.
La sua grande sfortuna è stata che l’apice della sua carriera si è sovrapposto non a uno ma a ben due grandi campioni. Il giovane Anatoly Karpov emerse dal nulla per diventare il beniamino degli scacchi sovietici e si sarebbe rivelato la nemesi di Korchnoi. Nel loro primo match nel 1974 (finale del torneo dei candidati) Korchnoi subì tre sconfitte, ma riuscì a mettere a segno un recupero purtroppo tardivo perdendo solo 12,5-11,5. Quel match in effetti consegnò a Karpov la corona perché l’anno dopo, com’è noto, Fischer si rifiutò di difendere il titolo. Nel 1976, in occasione del torno IBM di Amsterdam, Korchnoi disertò, gettando poi nello sgomento le autorità sovietiche perché riuscì a qualificarsi per la finale mondiale contro Karpov. La loro resa dei conti nelle Filippine sarà ricordata come una delle gare più aspre e bizzarre nella storia degli scacchi, con accuse di imbrogli che coinvolgono l’ipnotismo e messaggi in codice inviati con lo yogurt. Sulla scacchiera Korchnoi andò di nuovo in grande svantaggio all’inizio (4-1) in un match comunque estremamente equilibrato in cui aveva buttato via diverse occasioni, ma riuscì a compiere una clamorosa rimonta pareggiando il match sul 5-5 dopo 31 partite, solo per perdere la decisiva partita successiva (la vittoria andava a chi avesse vinto 6 partite, senza contare le patte), nella gara più lunga dai tempi dell’incontro fra Capablanca e Alekhine del 1927.
Nel 1981 Korchnoi aveva ormai compiuto 50 anni, ma si qualificò di nuovo per affrontare Karpov. Il match è però tristemente noto come il “Massacro di Merano” poiché Korchnoi subì una durissima sconfitta per 6-2 nella città italiana, sebbene gli eventi scacchistici siano stati certamente condizionati dalla prigionia di suo figlio in URSS. Il ciclo successivo ha segnato un cambio della guardia, poiché Korchnoi fu sconfitto nella semifinale del torneo dei candidati dall’astro nascente di quegli anni, il giovane Garry Kasparov.
Sebbene non sia mai più riuscito a lottare per il titolo, Korchnoi è rimasto attivo e forte negli scacchi competitivi molto tempo dopo che i suoi coetanei si sono ritirati. All’età di 80 anni raccontò a un intervistatore che continuava a lavorare sugli scacchi quattro ore al giorno, e i suoi successi includono la vittoria del campionato mondiale senior nel 2006 e del campionato svizzero nel 2009 e 2011.
Nel 2012 Korchnoi ebbe un ictus, ma rimase indomabile, tornando a giocare a scacchi competitivi su una sedia a rotelle prima di morire all’età di 85 anni.

E dopo tanta rivalità acerrima, è molto bello leggere l’elogio funebre che di lui fece l’arcinemico Anatoly Karpov. Nel 1978 la Tigre di Leningrado (un altro dei suoi celebri soprannomi) era forse all’apice della forza. E direi che si nota non poco dalla partita che vado ad illustrare, la quale esemplifica molto bene lo stile aggressivo di un giocatore che spesso era abbonato allo zeitnot, per la tendenza fortissima a cercare sempre il meglio nella posizione. Il suo avversario, Werner Hug, classe 1952, era un giovane astro nascente quando fu giocata questa partita.  Era diventato Maestro Internazionale nel 1971, quando vinse sorprendentemente il Campionato mondiale Juniores. Campione elvetico assoluto nel 1975, era un giocatore di ottima esperienza, e nel 1979 stabilì il record mondiale ufficiale di partite simultanee su 560 scacchiere (+385 -49 =126). Eppure qui fa quasi la figura del principiante…

 

Giusto in tempo per avere una miniatura!

Beh, io questa partita la trovo semplicemente affascinante, come avrebbe detto il signor Spock.

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Miniature fantastiche e dove trovarle – La ghigliottina francese

Ora, lo so che nel mondo repubblicano di oggi le dinastie non vanno più di moda. Però, nessuno vieta che ci siano negli Scacchi. Quindi, visto che Alex si sta applicando seriamente al Nobil Giuoco, ha deciso di partecipare al mio posto nel Torneo Pensato 5, “pensato” per l’appunto dall’amico Marcello Carozzo, sempre più al centro di un bellissimo progetto. Gli sta andando piuttosto bene, finora; giusto ieri ha realizzato una splendida vittoria, in uno stile per lui inconsueto: niente tatticismi avventati, ma giudiziosa conduzione posizionale della partita. Devo dire che -come papà e come “vecchio” scacchista cassinate- sarei davvero contento se si realizzasse il famoso detto: “Diventiamo grandi quando battiamo papà a scacchi; diventiamo adulti quando lo lasciamo vincere”. Sì, però… andiamoci piano, eh? Lo scettro è ancora in mano mia, e come si diceva ai miei tempi: “Tu nella vita comandi fino a quando/hai stretto in mano il tuo telecomando“. Per ora, il telecomando me lo tengo ben stretto. Certo che il puledrino scalpita… lasciamogli la tastiera!

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Buon compleanno al più grande di tutti

Il 9 Marzo del 1943 nasceva a Chicago Robert James Fischer, universalmente noto come Bobby. Le controversie sulla sua persona sono innumerevoli, e dozzine di libri gli sono stati dedicati, sia in relazione al suo gioco fantastico, che in relazione alla sua complessa e difficile personalità. Non tutti, ma moltissimi (fra cui io…) lo ritengono il più grande giocatore di tutti i tempi, se fosse effettivamente possibile stilare una classifica del genere. Certo, la brevità della carriera -se rapportata a parecchi altri grandi Campioni del passato e del presente- rende difficile sostenere questa affermazione. Per esempio, di Fischer esistono soltanto 1.097 partite documentate dal 1953 al 1992, di cui 850 circa giocate nel periodo 1956-1972, laddove, per fare un confronto, Magnus Carlsen ha già giocato oltre 3.600 partite in soli 22 anni. Eppure, nessuno, nella storia degli Scacchi, ha raggiunto finora le performance del grande Bobby: a fronte di un regno assoluto di soli 3 anni (anche se era già considerato da qualche anno il più forte di tutti), nessuno ha mai messo tra sé e il secondo al mondo come punteggio Elo l’impressionante gap che Fischer mise fra sé e il numero 2 dell’epoca, il Campione del mondo Spasskij (90 punti nel 1971); ha uno score (come si dice in gergo pugilistico) di +433 -87 =247 (pari al 72.6% di punti ottenuti), mentre, sempre per paragonarlo al Mozart degli Scacchi, quest’ultimo ha “solo” +724 -273 =797 (il 62.6% dei punti conquistati). Soltanto José Raul Capablanca e Aleksander Alekhine, entrambi con molte più partite giocate, vantano percentuali superiori, sebbene di poco: 73.1% il Grande Cubano, 74.1 la Furia Russa. Non va mai dimenticato, poi, che se oggi archivi, riviste e Internet sono patrimonio di tutti, anche dei ragazzini, all’epoca Fischer dovette imparare il Russo per aggiornarsi, e fu capace, da solo, di sconfiggere l’intera organizzazione scacchistica sovietica. Davanti a questi risultati sportivi, contestualizzati e, per quel che possibile, “assolutizzati”, è difficile contrastare l’idea che Bobby Fischer sia stato davvero il più grande scacchista in assoluto. Ha giocato poco? Sì, è vero. Ma credo, a posteriori (anche se ovviamente manca la controprova), che avesse già dato il meglio di sé nel 1972, quando raggiunse il culmine a cui un essere umano può forse ambire nel campo della maestria scacchistica. Chissà, forse il suo precocissimo ritiro ci ha, fortunatamente, privato della tristezza di vedere (oltre il declino dell’uomo) il tramonto lento e tormentoso di un genio. Perché tutti -tutti!- abbiamo una parabola: e le parabole prima o poi scendono…
Sulla vexata quaestio, c’è un bel filmato, che non porta alle mie conclusioni, ma mette a confronto i maggiori Elo, periodo per periodo.

Ci sono tante partite in giro del grande Bobby; io, in questo blog, mi sto dedicando principalmente alle gemme meno conosciute. Non farò eccezione neanche stavolta, e perciò, come omaggio al nostro Festeggiato, ve ne presento una che, non notissima, costituisce, per la variante giocata dall’undicesimo Campione del Mondo, un particolare motivo di interesse per Alex, per me e per… Maxime Vachier-La Grave, che usa più di una variante mutuata da Fischer. L’ultima volta, però, al Tata Steel non è che gli sia andata benissimo
Vediamoci dunque questa breve partita, che dimostra una volta di più le straordinarie qualità di Fischer. Giocata all’Interzonale di Stoccolma del 1962, a 19 anni, è la sua 362a partita, e nessuno avrebbe mai potuto immaginare che si assisteva già alla metà della carriera di colui che ebbe a dire: «All I want to do, ever, is play chess».

“E Fischer?”, vi starete chiedendo. Tutti sostengono che usò meno di dieci minuti; alcuni dei presenti affermano che riflettè per  meno di tre minuti complessivamente.

Auguri al Re assoluto degli Scacchi.

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A zonzo per le scacchiere – 1

Cos’è una simultanea? È un effervescente show scacchistico, una festa in famiglia con un invitato speciale, uno spettacolo anche visivamente coinvolgente, con le tante scacchiere e le tante teste schierate in fila e un signore itinerante che, man mano che le partite finiscono, rende più serrato il suo girovagare. Dal punto di vista tecnico, presenta una serie di particolarità non prive di interesse. Intanto è un’occasione per chi vi partecipa di cimentarsi con un GM o comunque un giocatore di nota forza (con il quale non si avrebbe altrimenti la possibilità di giocare, a meno di far parte di un circolo prestigioso) nonché un buon allenamento per lo stesso simultaneista oltre che, in alcuni casi, una forma di autopromozione. Il simultaneista deve visualizzare in poco tempo e dall’alto tante posizioni: è ovvio che maggiore è la resistenza degli avversari nel loro complesso, maggiore l’impegno per lui. Quando le scacchiere in gioco si riducono,

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